L’innovazione come rimedio
by Mario Calderini.
Abbiamo ricevuto nei giorni scorsi un duro promemoria sull’urgenza di prenderci cura in modo serio del pianeta e delle persone che lo abitano. La contiguità tra prosperità e devastazione nei villaggi tedeschi inondati è il segnale d’allarme definitivo, perché ci impedisce di rifugiarci nell’idea che la sfida della sostenibilità riguardi altro e altri. Negli stessi giorni, il ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, ricordando i rischi di norme europee troppo stringenti per la Motor valley emiliana, ha riproposto il dibattito tra transizione green e costi sociali, ponendo l’accento sulla necessità di trovare un punto di equilibrio, soprattutto nei tempi, tra regolazione verde e impatto sociale, tra tutela del pianeta e equità. Il riferimento del ministro era al pacchetto “Fit for 55”, lanciato dalla Commissione Europea qualche giorno fa verso l’obiettivo delle emissioni nette zero per il 2050. Pacchetto che, immediatamente, ha riaperto il dibattito sulla sua compatibilità con il principio della “just transition” sul quale si fonda il Green Deal europeo. In una settimana, due promemoria per due problemi: le sfide della sostenibilità sono urgentissime e siamo ancora impreparati ad affrontarle in modo sistemico, bilanciando transizione sociale ed ecologica. La tensione, quando non rivalità, tra inclusione, disuguaglianze e obiettivi ambientali è stata troppo a lungo l’elefante nella stanza. È illusorio pensare che si possa affrontare la transizione senza accettare l’evidenza che, frequentemente, il vettore della transizione ecologica e quello della transizione giusta non siano allineati e concorrenti, almeno nel breve periodo. Una parte importante del buon esito della transizione è affidata alla volontà di istituzioni, imprese e finanza di muoversi all’interno di un sistema di obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) e di metriche ESG (Environment, Social, Governante) che definiscono il quadro generale entro il quale vengono prese da pubblico e privati decisioni da triliardi di dollari ogni anno. Purtroppo, le metriche non sono neutre e proprio nella grammatica ESG si nascondono tutti i difetti e i pericoli di una transizione non equilibrata. Nell’interpretazione di quella grammatica, la E è oggi straordinariamente più importante della S, perché più facile da misurare quantitativamente e spesso meno rivale agli obiettivi di profitto. Inoltre, quelle metriche guardano sempre più a obiettivi globali e planetari e sempre meno rappresentano gli interessi di prossimità delle comunità e i processi locali di creazione di valore sociale. Infine, la S di sociale è in quella grammatica declinata in modo parziale, spesso riferita ad elementi specifici, seppur fondamentali, come il welfare aziendale, la parità di genere o l’attenzione alle diversità ma del tutto inadeguata a rappresentare gli aspetti più strutturali e sistemici legati alle disuguaglianze territoriali, gli effetti redistributivi, le nuove povertà o la mobilità sociale. Non per caso, proprio in questi giorni la Commissione Europea ha reso pubblica la propria proposta di tassonomia sociale, dopo che aveva approvato quella green già molti mesi fa. È una proposta molto importante perché codifica i prodotti finanziari che hanno gli attributi per poter essere chiamati a impatto sociale, prevenendo fenomeni di social washing. Purtroppo, è una proposta che riflette molti dei limiti culturali cui si accennava sopra e che lascerà ancora aperto il tema della coesistenza tra obiettivi economici, ambientali e sociali. Se la politica e le imprese si infilano, per miopia, paura o opportunismo, in un cul-de-sac nel quale la tensione tra società, ambiente e clima si porrà solo in forma di alternativa secca, la transizione non sarà né ecologica né giusta, semplicemente non ci sarà. C’è un’unica strada per non infilarsi in quel vicolo cieco e si chiama innovazione. Nel migliore degli scenari possibili, sostenibilità e innovazione diventeranno sinonimi, perché rappresenteranno la stessa capacità di anticipare i conflitti attraverso l’investimento in nuove soluzioni. Uno scenario non favorevolissimo per un Paese che si è spesso dimenticato di investire in questa direzione, ma un’ottima ragione per ricominciare subito a farlo. I rischi di una transizione ecologica senza quella sociale. L’innovazione come rimedio di Mario Calderini °RIPRODUZIONE RISERVATA