Economia sociale e imprese. Non è più solo Terzo Settore. Occasione da non perdere
by Mario Calderini
Corriere della Sera – Il dibattito delle idee
La sfida di costruire una nuova economia sociale per l’Europa, lanciata dalla Commissione Europea con il Social economy action plan e con le Raccomandazioni agli Stati membri del Consiglio Europeo, è stata raccolta dal Governo. La convocazione del «Tavolo di lavoro per il piano per l’economia sociale» ne è la prova ed è un’ottima notizia. Così come è importante che questa iniziativa venga dalla sottosegretaria Lucia Albano che esercita la delega per l’Economia sociale al Mef, perché sottolinea la principale linea di discontinuità col passato: l’iscrizione delle iniziative che verranno prese non solo nell’agenda di politiche sociali o del lavoro ma nel più ampio alveo delle politiche di sviluppo e crescita. La caratteristica politica distintiva dell’economia sociale è proprio il suo essere bivalente nella capacità di perseguire congiuntamente obiettivi di creazione di valore sociale e insieme di valore economico e crescita. Da molto tempo ormai il Terzo settore attendeva che questo ruolo gli venisse pienamente riconosciuto, ma è anche necessario prendere atto del fatto che esiste ormai un’ampia terra di confine tra Terzo settore e profit, popolata da imprese che perseguono con integrità fini sociali e obiettivi di impatto pur non appartenendo in senso stretto al Terzo settore. Proprio questo è il primo nodo che andrà affrontato. La Commissione ha, volutamente, lasciato aperta la definizione dei protagonisti dell’economia sociale, facendo riferimento a un elenco esemplificativo di forme organizzative prevalentemente riconducibili al Terzo settore ma che si conclude con la categoria generica delle social enterprises. Su questo si è aperto un dibattito più ideologico che linguistico in Paesi, come l’Italia, in cui la traduzione letterale di social enterprise impresa sociale fa riferimento a una precisa forma organizzativa dell’ordinamento, come una delle fattispecie di Ente del Terzo Settore. Questo potrebbe indurre taluni a pensare che l’economia sociale e il suo piano debbano essere pensati e articolati entro il perimetro del Terzo settore e delle sue organizzazioni. Poiché invece la formulazione del Piano e delle Raccomandazioni è palesemente orientata a una nozione ampia e aperta di economia sociale, pur riconoscendo il ruolo centrale del Terzo settore, sarebbe un errore limitare l’estensione degli interventi a criteri formalistici di appartenenza o non appartenenza al Terzo settore, fatti salvi i principi sostanziali di interesse generale, governance e destinazione degli utili. Un protagonismo allargato è cruciale nel momento in cui si voglia concepire l’esecuzione del Piano come un pezzo fondante della politica industriale del Paese, poiché anche di questo si tratta. La Commissione ha dato da tempo un segnale chiarissimo in questa direzione inserendo l’Economia Sociale tra i cluster industriali rilevanti del piano New industrial strategy for Europe. I protagonisti della nuova economia sociale stanno infatti nascendo in uno spazio definito da due processi convergenti: la strutturazione gestionale, tecnologica e finanziaria dei soggetti più imprenditoriali del Terzo settore e l’interpretazione radicale e autentica della vocazione all’impatto sociale di soggetti che nascono in ambito profit. è ben evidente come questo processo di contaminazione presenti rischi ideologici, valoriali e identitari molto elevati. In questa direzione due sono le azioni chiave. La prima è affidarsi, soprattutto nel profit, a pratiche di misurazione e asseverazione dell’impatto sociale più robuste di quanto oggi (non) praticato dalle Società Benefit e ancor peggio dalle diverse forme di certificazioni benefit o di sostenibilità. La seconda è la promozione di forme di innovazione della governance più coerenti con la vocazione sociale espressa dalle imprese profit. Il Tavolo sembra essersi dato un’agenda molto ragionevole, affrontando prima una serie di questioni tecniche specifiche, in particolare la disciplina fiscale ancora da completare, per poi rivolgersi alla formulazione di un piano più organico e ambizioso di sostegno all’economia sociale. Se questa seconda parte non rimarrà sullo sfondo, cogliendo appieno le raccomandazioni del Consiglio in materia di promozione del mercato, di costruzione di infrastrutture finanziarie e nuovi strumenti, di azioni dirette di politica pubblica, il Piano rappresenterà non solo la nascita di una nuova generazione di politiche sociali ma anche un’innovazione strutturale del nostro sistema economico e produttivo. *Politecnico di Milano School of Management © RIPRODUZIONE RISERVATA