Sostenibilità, formare talenti per l’innovazione a impatto
by Alessia Maccaferri
NOVA24 – Il Sole 24 Ore
22nd February 2024
Nel 2007 sono due ventenni squattrinati appena arrivati a San Francisco. La leggenda racconta che non sapendo come pagare l’affitto, Brian Chesky e Joe Gebbia comprano dei materassini gonfiabili e mettono a disposizione i posti letto a giovani che affollano la città per un’importante fiera di design. Nasce così Airbnb, considerata la piattaforma regina della sharing economy, l’economia della condivisione di bene e servizi che si basa su un forte senso di comunità che si aggrega online. Qualche decennio dopo però l’effetto della piattaforma con affitti a breve termine ha stravolto il mondo dell’ospitalità e il mercato immobiliare: se da un lato consente ai turisti di trovare alloggi a prezzo contenuto e agli affittuari di arrotondare il reddito, dall’altro può contribuire al caro-affitti, come mostrano le proteste prima a San Francisco e poi Europa, spingendo la popolazione a spostarsi lontano dai centri urbani. È inevitabile che ogni business, anche con un ideale sociale e ambientale, una volta che utilizza la tecnologia venga stravolto fino ad avere conseguenze potenzialmente negative? La domanda è più che lecita, se si considera che ChatGpt è frutto di Open AI, all’origine organizzazione di ricerca senza scopo di lucro. «Un punto fondamentale è che manca una forma di governance di impresa capace di far scalare tecnologicamente i modelli di business senza perdere il significato prosociale. Per esempio pensando alla forma cooperativa o mettendo vincoli sociali nella forma di impresa» spiega Mario Calderini, docente di Sustainability and Impact Management al Politecnico di Milano. Un altro passaggio necessario è applicare i concetti della frugalità all’hitech: «Nelle scuole tecniche si insegna ancora un paradigma di innovazione per i passati 150 anni basato sull’idea di risorse infinite e vincoli scarsi. La grande sfida oggi è cambiare il paradigma dell’innovazione – sia per chi lo insegna sia per chi lo pratica – sapendo che le risorse sono finite e i vincoli sono importanti. Per esempio non si può più contribuire al grande serbatoio delle diseguaglianze ogni volta che fa un’ innovazione». La sfida necessaria è riuscire a praticare questa innovazione a impatto prevedendo prima, nel design del prodotto o del servizio, i possibili effetti negativi sulla società e sull’ambiente in modo da scongiurarli. «La performance non si misura più come performance tecnologica assoluta ma nella compatibilità con i sistemi di vincoli che abbiamo di fronte nei prossimi 50 anni» aggiunge Calderini che è anche presidente del Comitato scientifico della Social Innovation Academy, promossa da Fondazione Triulza, e attiva in Milano Innovation District (Mind). Proprio qui si sperimenta l’interazione tra i bisogni tecnologici delle aziende e l’offerta da parte di start up a impatto sociale. Alla call delle imprese, lanciata l’anno scorso, ha risposto una trentina di start up tra cui quattro europee. Ora stanno per partire due progetti pilota. Per Lendlaese, gruppo immobiliare promotore di Mind, la start up Widata realizzerà una piattaforma che mappa e dialogare con la comunità del distretto innovativo. E ancora l’utility A2A sta valutando diversi progetti sociali.
«Siamo lavorando per rafforzare l’imprenditorialità sociale con iniezioni di tecnologia e di innovazione. Abbiamo più relazioni sia con il mondo corporate sia a livello internazionale. Ora stiamo pensando non solo a come rafforzare questo percorso di procurement ma anche vogliamo anche rivolgendoci alla rete delle Pmi, che saranno chiamate a esprimere i propri fabbisogni di tecnologia a impatto sociale» spiega Chiara Pennasi, direttrice di Fondazione Triulza, rete di una settantina di organizzazioni del terzo settore e dell’economica civile nata alla vigilia di Expo 2015. Fondazione che peraltro è stata riconosciuta come cluster di social economy dall’Unione Europea.
Alla base però è cruciale la formazione di giovani talenti che sappiano ragionare sull’innovazione sociale. Tema di cui si parlerà nel prossimo Social Innovation Campus (Mind, 28-29 febbraio) . «Come valorizzare i talenti dei giovani per avere un impatto sociale? Per questo abbiamo messo in campo un progetto regionale rivolto ai giovani sui temi della cultura e imprenditorialità e impatto sociale – aggiunge Pennasi – Poi un progetto europeo sulle professioni del domani. E ancora un pilota con il Politecnico di Milano coinvolgendo gli studenti dell’ultimo anno della laurea magistrale in Ingegneria: partendo da bisogni di nostre realtà sociali svilupperanno dei prototipi. Abbiamo così fatto incontrare i talenti degli ingegneri e le cooperative sociali con bisogni tecnologici su Alzheimer e disabilità». Il progetto-pilota si chiama Capstone Social che si ispira alla formula collaudata dell’Mit. Ma come formare i giovani ingegneri e tutti coloro che studiano tecnologia? «È una grande questione. Va prefigurata agli studenti la complessità del mondo, va spiegato che il mondo è costituito da interazioni molto complesse, socio-tecniche e che appena si prendono decisioni tecnologiche avvengono molte conseguenze. Quando lo studente capisce tutto questo, diventa responsabile e prosociale» aggiunge Calderini.
D’altra parte molte ricerche raccontano come i giovani siano attenta ai valori sociali e ambientali, li includano nella propria formazione e nella propria aspirazione lavorativa. Che sia la Generazione Z a portare la sostenibilità fuori dalla sua bolla?
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