La transizione green va governata o creerà ingiustizie
by Mario Calderini
La Repubblica, 5th February 2022
Viviamo un’epoca di grande trasformazione, nella quale ogni protagonista del sistema politico ed economico vive come un imperativo l’adesione a modelli più sostenibili e inclusivi. Molti si illudono che questa transizione contenga in sé tutte le risposte di cui abbiamo bisogno di fronte alle grandi sfide sociali e ambientali. Altri trovano il ripensamento in atto nel capitalismo e nella politica insufficiente e superficiale; cominciano anzi a sospettare che la transizione sostenibile stia diventando essa stessa un problema, prima ancora di essere una soluzione. Per fare sì che così non sia, per provare a offrire una risposta degna al monito formulato dal Presidente della Repubblica in tema di disuguaglianze e crescita, dobbiamo affrontare due grandi questioni.
La prima è che la transizione sostenibile sta avvenendo in assenza di una teoria di giustizia sociale e di un’idea di equità nelle opportunità. La seconda è che dobbiamo reclutare l’innovazione e la tecnologia alla causa della sostenibilità inclusiva, ma dobbiamo farlo con un’idea più matura di innovazione, scevra dal pregiudizio di comodo che fare innovazione sia per definizione un atto generativo di impatto sociale positivo.
L’ultima rivoluzione che ha attraversato il sistema economico, quella che abbiamo chiamato economia della conoscenza, dimostra quanto sia stato sbagliato non porsi precocemente il problema degli effetti redistributivi e degli impatti sociali, cullandosi nell’illusione che la prosperità indotta dalla tecnologia e dagli intangibili zampillasse, abbondantemente, equamente e democraticamente, sulla società. Questo errore ha lasciato persone, comunità e luoghi con ferite profondissime, che abbiamo sistematicamente visto rappresentate nei risultati elettorali dell’ultimo decennio nel mondo.
Sappiamo oggi che il modello di elitarismo tecnologico, cui abbiamo affidato le nostre speranze di prosperità, ha concentrato le opportunità in pochissimi luoghi, così come abbiamo osservato che chi viveva una condizione di svantaggio ha faticato sempre più a rimanere agganciato al sistema di opportunità che valeva per tutti gli altri. Vediamo oggi i modelli salariali strutturalmente iniqui generati dall’economia delle piattaforme, così come percepiamo le paure di chi vede nell’intelligenza artificiale una minaccia per il proprio lavoro.
Eppure, quella non era una rivoluzione sbagliata, era semplicemente una rivoluzione cui mancavano due ingredienti fondamentali: un’idea forte di giustizia sociale, o almeno un’aspirazione, e una nozione di innovazione intenzionalmente inclusiva e generata da modelli cognitivi più articolati e responsabili di quelli tipici del paradigma antropologico tecnocratico.
Esattamente gli stessi ingredienti che mancano oggi alla transizione sostenibile per cogliere quell’obiettivo di sintesi tra crescita, equità e benessere che il Presidente Mattarella ha indicato.
Innovazione e sostenibilità diventeranno presto sinonimi indistinguibili. Riflettere sui fallimenti sociali e sugli effetti inattesi dell’innovazione non significa demonizzarla ma anzi difenderla e celebrarla. Sarebbe tuttavia sbagliato cercare nella natura intrinseca dell’innovazione una risposta sugli effetti sociali che genererà, perché il modo in cui l’innovazione contribuirà alla rivoluzione sostenibile saremo noi a definirlo.
La risposta dobbiamo invece cercarla nella natura e nelle forme del sistema economico che genererà l’innovazione e la adotterà. Quando le imprese e gli investitori reinvestono i profitti dell’innovazione generando altra innovazione, l’impatto sociale in termini di occupazione, inclusione e benessere, è probabilmente positivo. Quando invece il capitalismo trattiene la ricchezza senza restituire in innovazione ciò che l’innovazione stessa ha generato, il conto lo pagano sempre i più deboli e svantaggiati. Per questo, la prima urgenza è quella di dare una dimensione politica alla cosiddetta purpose-driven economy, o meglio a un’idea di nuova economia sociale, come ci suggerisce la Commissione Europea.