by Mario Calderini
La Repubblica, 18th August 2020
Nel futuro dell’economia post-Covid c’è il quarto settore, popolato da imprese e organizzazioni finanziarie che metteranno il significato, il senso e l’impatto sociale dell’atto imprenditoriale al primo posto del loro agire. Lo scrivono 14 top-manager di grandi imprese internazionali, tra cui Philips, Danone, L’Oreal, MasterCard, annunciando il proprio impegno per quella che definiscono la purpose-first economy. Il quarto settore, la terra di mezzo per alcuni, l’isola che non c’è per altri, quello spazio liquido che sta tra impresa tradizionale, terzo settore, Stato e innovazione sociale, forse troppo difficile da definire con le lenti del pensiero economico dominante ma evidentemente sempre più concreto e percepito nella realtà.
La posizione dei manager riflette il tentativo di immaginare cosa verrà dopo l’emergenza ed esprime un principio sostanzialmente politico che sembra invece progressivamente dimenticato: la necessità di far prevalere il build it better sul build it back. In breve, la volontà di cogliere l’opportunità della crisi per ricostruire un’economia migliore e diversa, senza farsi trascinare nella gara al ribasso di riportare l’orologio al febbraio scorso.
Il documento sulla purpose-first economy giunge significativamente esattamente ad un anno di distanza da quello ormai famoso sullo scopo e il fine dell’impresa, rilasciato dai 181 leader delle più grandi aziende americane riuniti nella Business Roundtable, una sorta di Confindustria élite. Eravamo però in un’altra era geologica e la dichiarazione, in un mondo molto più semplice di quello attuale, sembrava destinata a segnare un passo decisivo verso un nuovo modello di capitalismo, più rispettoso di tutti i portatori di interessi e ispirato ad un diverso rapporto col profitto.
Molto si è da allora discusso sulla genuinità o sull’opportunismo di tale posizione ma certamente da quel momento il tema di un nuovo capitalismo più sostenibile e inclusivo ha occupato le prime pagine dei grandi giornali economici. Ancora nello scorso febbraio, il forum di Davos faceva da palcoscenico a grandi manager internazionali ossessivamente impegnati a raccontare la propria idea di sostenibilità.
“il richiamo al quarto settore e alla economia purpose-first rappresenta oggi un segnale particolarmente importante. Significa che la ricetta, per l’impresa e la politica, non potrà essere fare cose apparentemente nuove con modelli vecchi, ma scommettere su un ripensamento radicale della propria natura e identità di agente economico. Un ripensamento che deve partire dalla contaminazione virtuosa tra impresa e finanza, terzo settore e Stato.”
Nessuno però poteva immaginare che la genuinità di quelle dichiarazioni sarebbe stata così duramente messa alla prova dalla grande pandemia che ha ridisegnato il mondo e l’economia, sconvolto i modelli di business, rimesso il ruolo dello Stato al centro e reintrodotto una pericolosa narrativa di economia di guerra e di emergenza, icasticamente sintetizzata dal “avevamo fretta” della sottosegretaria Castelli in merito ai bonus. Quando poi Donald Trump, attraverso la sua Amministrazione, ha ricordato ai finanzieri americani che sì, la sostenibilità va bene ma i rendimenti vengono sempre molto prima, in molti hanno pensato che quell’afflato di responsabilità e sostenibilità si spegnesse nella durezza della crisi. Per questo, il richiamo al quarto settore e alla economia purpose-first rappresenta oggi un segnale particolarmente importante. Significa che la ricetta, per l’impresa e la politica, non potrà essere fare cose apparentemente nuove con modelli vecchi, ma scommettere su un ripensamento radicale della propria natura e identità di agente economico. Un ripensamento che deve partire dalla contaminazione virtuosa tra impresa e finanza, terzo settore e Stato. All’esito di questa contaminazione sono affidate le speranze che la transizione post-Covid non venga guidata dalla tracotanza di chi pensa che, prima o poi, la bufera passerà e con una spruzzatina di sostenibilità ciascuno potrà tornare alle proprie piccole o grandi rendite di posizione a spese del bene comune.